Oggi mi sono fatta una piccola passeggiata per Treviso. Tra un po' inizierò a lavorare e Treviso vissuta tutti i giorni me la sogno.
Un po' mi spiace, però non posso farci tanto.
Comunque era bello camminare, il sole era caldo e si stava decisamente bene. Non come ora, mentre tento di ticchettare sui tasti senza rischiare di spezzare qualche pezzo di queste mani congelate (non ho quasi più sensibilità nella destra, pazzesco!). Ero un po' una lucertola che rifuggiava le zone d'ombra e si muoveva solo dove la luce portava considerevole calore.
Sono passata in ufficio a vedere come stanno i miei colleghi e tutto è invariato. Solo io mi sento cambiata, più che altro, proiettata verso altro.
Infine, e qui volevo arrivare dopotutto, ho preso l'autobus per tornare a casa. E mo'?
E mo', era l'una: l'ora degli studenti.
NOOOOO, non me lo ricordavo più!
Una calca impressionante! Per fortuna io ero beatamente seduta, ma vedere tutti quegli zaini, gli spintoni, sentire l'autista che urla "Avanti!", mi hanno riportato a quei momenti vissuti dopo la scuola, quando non vedevi l'ora di mangiare e pensavi a mille e cento cose.
Salire, ma soprattutto scendere, da un autobus troppo affollato mi ha sempre infastidito. Dover farsi spazio a gomitate, pestare piedi come fossero moquette e sentirsi bersaglio di sguardi pieni d'odio o semplicemente curiosi, mi dava, e mi da, una spiacevole sensazione di imbarazzo mista a desiderio di essere altrove.
Un incubo!
Adesso poi, se aggiungiamo il fatto che sono una "vecchietta" o "sfigata" fuori moda (per fortuna!) al confronto degli adolescenti del 2008, bè, oltre al mio disagio congenito, si sono anche raddoppiati gli sguardi indagatori che hanno me come bersaglio.
Ho sopportato stoicamente e me ne sono fregata. Ho tirato fuori il mio libro e ho salutato il mondo, per una ventina di minuti. Chiasso e confusione si sono dissolti in breve tempo; una cupola silenziosa è calata su di me e altro non percepivo che descrizioni di ambienti sconosciuti. Di un luogo in cui l'alba non sorge mai e un tempio maledetto si erge nero e imponente...
Riesco a scendere alla mia fermata senza troppa difficoltà.Un po' mi spiace, però non posso farci tanto.
Comunque era bello camminare, il sole era caldo e si stava decisamente bene. Non come ora, mentre tento di ticchettare sui tasti senza rischiare di spezzare qualche pezzo di queste mani congelate (non ho quasi più sensibilità nella destra, pazzesco!). Ero un po' una lucertola che rifuggiava le zone d'ombra e si muoveva solo dove la luce portava considerevole calore.
Sono passata in ufficio a vedere come stanno i miei colleghi e tutto è invariato. Solo io mi sento cambiata, più che altro, proiettata verso altro.
Infine, e qui volevo arrivare dopotutto, ho preso l'autobus per tornare a casa. E mo'?
E mo', era l'una: l'ora degli studenti.
NOOOOO, non me lo ricordavo più!
Una calca impressionante! Per fortuna io ero beatamente seduta, ma vedere tutti quegli zaini, gli spintoni, sentire l'autista che urla "Avanti!", mi hanno riportato a quei momenti vissuti dopo la scuola, quando non vedevi l'ora di mangiare e pensavi a mille e cento cose.
Salire, ma soprattutto scendere, da un autobus troppo affollato mi ha sempre infastidito. Dover farsi spazio a gomitate, pestare piedi come fossero moquette e sentirsi bersaglio di sguardi pieni d'odio o semplicemente curiosi, mi dava, e mi da, una spiacevole sensazione di imbarazzo mista a desiderio di essere altrove.
Un incubo!
Adesso poi, se aggiungiamo il fatto che sono una "vecchietta" o "sfigata" fuori moda (per fortuna!) al confronto degli adolescenti del 2008, bè, oltre al mio disagio congenito, si sono anche raddoppiati gli sguardi indagatori che hanno me come bersaglio.
Ho sopportato stoicamente e me ne sono fregata. Ho tirato fuori il mio libro e ho salutato il mondo, per una ventina di minuti. Chiasso e confusione si sono dissolti in breve tempo; una cupola silenziosa è calata su di me e altro non percepivo che descrizioni di ambienti sconosciuti. Di un luogo in cui l'alba non sorge mai e un tempio maledetto si erge nero e imponente...
Mi resta il piccolo dubbio: come sarei presa se fossi studente oggi?
Ho visto di quelle cose... ve le racconterò!

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1 commento:
Oggi sono a casa malato. Il primo virus di stagione m'ha beccato. Leggendo il tuo post mi viene in mente che se fossi uno studente delle superiori sarei di certo contento di essere bloccato a casuccia...è incredibile come un malanno stagionale possa diventare da quasi desiderato (se breve e limitato) quando si è teenager a visto come pessimo solo pochi anni dopo...
...grazie per il sorso di vita, moka, con la morte addosso può essere salvifico!! ^_^
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