lunedì 1 febbraio 2016

Trentaquattresima tappa: Apocalisse

Il contenuto oscuro e indecifrabile del libro dell'Apocalisse ha da sempre impressionato e intimorito il lettore: immagini pazzesche e difficili, bizzarri sconvolgimenti cosmici, angeli e demoni, simboli e numeri complicati da afferrare.
Per non fraintendere il senso dell'opera o per non vanificare gli sforzi dell'autore (l'aposotolo Giovanni? uno della sua scuola?) bisogna tener conto dei generi letterari presenti nel testo. Se ne riconoscono tre in particolare: l'epistolare, il profetico e l'apocalittico. Tralascio i primi due, sia per averli già visti da vicino con Isaia, Geremia, Ezechiele e gli altri profeti o con le lettere di Paolo e quelle cattoliche, sia perché il terzo è quello universalmente associato a questo libro.
Anche se ai giorni nostri il termine apocalisse è sinonimo di disastro, catastrofe e fine del mondo, etimologicamente significa rivelazione. Nonostante le descrizioni di fenomeni terrificanti, l'autore non si prefigge di spaventare il lettore, bensì di rincuorarlo e incoraggiarlo, rivelandogli che la sofferenza non durerà per sempre, perché Dio è al lavoro per preparare un futuro migliore.
Se poi partiamo dal presupposto che uno scrittore scrive proprio per comunicare e farsi capire dai contemporanei, allora tutte le immagini strane e i simboli criptici lo saranno soltanto per noi lettori moderni. Probabilmente la familiarità che il popolo ebraico aveva con l'Antico Testamento era quel che serviva.
Arrivando da una lettura completa della Bibbia e in particolare da vangeli, atti e lettere, il cambio segnato dall'Apocalisse è stato piacevole. Senza la pretesa di capire tutto, mi sono goduto l'opera.

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