L'autore viene tradizionalmente identificato con Geremia, il profeta che piange, ma l'attribuzione è probabilmente di comodo.
Il libro è composto da cinque poemi lirici che costituiscono altrettanti capitoli. I primi quattro sono carmi acrostici, cioè la prima lettera di ogni strofa con le precedenti e le successive riproducono la sequenza dell'alfabeto ebraico. Nel terzo questa figura retorica si estende addirittura a ciascun verso della singola strofa (cioè tutti i versi della prima strofa cominciano con la prima lettera dell'alfabeto e così via). Già visto in Naum e in alcuni salmi, lo ritroveremo nei Proverbi. Come potete immaginare, questa tecnica facilitava la memorizzazione.
Il titolo non è che lasci presagire rose e fiori... e infatti il contenuto verte tutto intorno al grande dolore dell'assedio, della cattura e della distruzione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor. La desolazione, la miseria, la disperazione, la fame portate dalla sconfitta militare sono espressioni del castigo divino per i peccati di Israele.
La prima elegia descrive Gerusalemme come una donna abbandonata, punita per le sue trasgressioni. I suoi avversari godono della sua sventura.
Nella seconda vengono descritte in modo truculento l'assedio e la carestia.
La terza elegia canta la speranza nella misericordia divina. Qui leggiamo una frase che risentiremo sulla bocca di Gesù: "porga a chi lo percuote la sua guancia, si sazi di umiliazioni" (Lam 3,30).
La quarta deplora la gloria passata del distrutto tempio di Gerusalemme.
L'ultima elegia inizia supplicando Dio di ricordarsi del suo popolo. Il libro termina tuttavia con una nota di speranza.
In questa opera la poeticità latita o è oscurata dai toni tristi e gravi, d'altra parte quando uno piange perché non ha più niente non ha tutta questa ispirazione a creare immagini e metafore.
Il libro è composto da cinque poemi lirici che costituiscono altrettanti capitoli. I primi quattro sono carmi acrostici, cioè la prima lettera di ogni strofa con le precedenti e le successive riproducono la sequenza dell'alfabeto ebraico. Nel terzo questa figura retorica si estende addirittura a ciascun verso della singola strofa (cioè tutti i versi della prima strofa cominciano con la prima lettera dell'alfabeto e così via). Già visto in Naum e in alcuni salmi, lo ritroveremo nei Proverbi. Come potete immaginare, questa tecnica facilitava la memorizzazione.
Il titolo non è che lasci presagire rose e fiori... e infatti il contenuto verte tutto intorno al grande dolore dell'assedio, della cattura e della distruzione di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor. La desolazione, la miseria, la disperazione, la fame portate dalla sconfitta militare sono espressioni del castigo divino per i peccati di Israele.
La prima elegia descrive Gerusalemme come una donna abbandonata, punita per le sue trasgressioni. I suoi avversari godono della sua sventura.
Nella seconda vengono descritte in modo truculento l'assedio e la carestia.
La terza elegia canta la speranza nella misericordia divina. Qui leggiamo una frase che risentiremo sulla bocca di Gesù: "porga a chi lo percuote la sua guancia, si sazi di umiliazioni" (Lam 3,30).
La quarta deplora la gloria passata del distrutto tempio di Gerusalemme.
L'ultima elegia inizia supplicando Dio di ricordarsi del suo popolo. Il libro termina tuttavia con una nota di speranza.
In questa opera la poeticità latita o è oscurata dai toni tristi e gravi, d'altra parte quando uno piange perché non ha più niente non ha tutta questa ispirazione a creare immagini e metafore.
1 commento:
Non avevo pensato che l'uso dell'alfabeto fosse per memorizzare. Credevo fosse per far imparare l'alfabeto agli scolari. Ma forse andava bene in entrambe le forme.
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